Il sistema nervoso e la tua libertà di movimento - Mindful Movement
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Il sistema nervoso e la tua libertà di movimento

Il sistema nervoso e la tua libertà di movimento

In questo mese dedicato alla libertà di movimento, vorrei fare luce su una correlazione poco considerata quando parliamo di mobilità: il rapporto tra il sistema articolare e il sistema nervoso.

La qualità di questo nesso sta alla base della percezione di sicurezza dentro la nostra pelle, ovvero la fiducia che abbiamo (o meno) nell’abitare il nostro corpo.

Il nostro sistema nervoso ‘decide’ quanta mobilità ci darà in ogni situazione sulla base della sicurezza che percepisce. Un fatto fondamentale ma spesso trascurato quando parliamo di mobilità è il ruolo del sistema nervoso nel ‘decidere’ quanta mobilità ci permetterà in ogni momento. Questa ‘decisione’ si basa sulla percezione di sicurezza che il sistema nervoso rileva dentro e attorno a noi istante dopo istante (quello che il  neuroscienziato Stephen Porges definisce la neurocezione).

Sembra che la nostra neurocezione nel presente determini gran parte della mobilità e flessibilità che siamo in grado di agire..

Più il sistema nervoso rileva uno stato sicuro interno e attorno, più ci lascerà muovere nel mondo; quindi la nostra mobilità non è tanto espressione della nostra ‘flessibilità’ articolare ma del senso di essere al sicuro e in piena gestione delle nostre azioni nel mondo – quello che viene chiamato ‘Agency’ in inglese.

Reclamare il proprio senso di Agency (e quindi libertà di movimento) è un pilastro fondamentale del mio percorso di Embodied Resilience, dove dedichiamo tempo e tenerezza all’esplorazione di questo legame intimo e profondo tra le articolazioni e il sistema nervoso.

Aprire un dialogo fruttuoso e fiducioso con il sistema nervoso attraverso il linguaggio del movimento e la consapevolezza (‘noticings’), permette di ripristinare la mobilità funzionale sprigionando una fonte immensa di vitalità, forza e flessibilità nel sentirci agili e resilienti, dentro e fuori…padroni del nostro destino e dei nostri movimenti nel mondo.

Le articolazioni e il sistema nervoso dialogano attraverso recettori nervosi all’interno dei tendini e intorno alle giunture. Questi ricettori fanno parte del sistema propriocettivo, che ci aiuta a capire dove siamo nello spazio e dove e come le nostre parti del corpo sono in relazione tra di loro…una specie di GPS interno che comunica informazioni costanti sulla nostra posizione e stato di organizzazione corporea.

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Il sistema nervoso rileva un flusso costante di ‘dati’ da questi propriocettori e, insieme ad una serie di altre informazioni (ricavate anche da ricordi del passato, le nostre aspettative,…) determina quanto siamo al sicuro o meno, istante dopo istante.  

Se abbiamo vissuto una storia di trauma nel nostro passato o siamo naturalmente ‘molto snodate’, – come me! e le persone che hanno una condizione cronica di ipermobilità, (v. la Sindrome di Ehlers Danlos – EDS-),  questo dialogo ‘neurocettivo’ costante fra giunture e cervello può diventare un cerchio vizioso di messaggi di allerta cronica, quando il cervello percepisce una situazione di pericolo dovuto proprio alla ipermobilità delle articolazioni.

Essere più ‘flessibile’ non vuol dire essere più ‘Zen’.

Paradossalmente, spesso c’è una grande tensione nella muscolatura attorno alle articolazioni nelle persone ipermobili, perché il loro sistema nervoso attiva i muscoli intorno alle giunture per contenere il movimento e cercare di ‘proteggere’ i tessuti e prevenire le slogature.  Ciò vuol dire che anche le persone ipermobili sono ‘rigide’!  Questa rigidità muscolare non si ‘vede’ perché le articolazioni rimangono sciolte (spesso è causato da una patologia di produzione del collagene, come nell’ EDS ) e quindi le persone sono ‘snodate’ ( avete presente chi si piega in due sul tappetino?) ma il loro sistema nervoso in verità sta cercando di irrigidire i muscoli attorno alle giunture per ‘frenare’ una eccessiva mobilità articolare.

Questa lassità articolare attiva una reazione del ramo simpatico del sistema nervoso autonomo di ‘lotta o fuga’, aumentando il livello di ansia – o addirittura panico – nelle persone ipermobili.  Infatti, è stato rilevato che le persone ipermobili soffrono più ansia e panico che le persone meno mobili! Quindi, se ti trovi in uno stato di ansia o iper-vigilanza, magari non sei solo ‘stressatə’ ma anche ipermobile. In quel caso una pratica di allungamenti e ‘stretching’ passivi (come spesso troviamo nello yoga) non è sempre la soluzione migliore per il tuo corpo e anzi, potrebbe avere effetti controproduttivi…più cerchi di allungare i muscoli, più il sistema nervoso rileva la lassità e più creerà tensione nei muscoli (che poi corrisponde a tensione emotiva e ansia)!

Attivare i muscoli attorno alle articolazioni attraverso un lavoro di resistenza e contrazioni (soprattutto le contrazioni isometriche) manda segnali di forza e stabilità al cervello, aiutando ad abbassare lo stato di ipervigilanza. Per questo motivo lavoro con i miei clienti ipermobili nel rafforzare la muscolatura attorno alle articolazioni per mandare un messaggio di contenimento e controllo al loro sistema nervoso, abbassando il livello di allerta e ansia in generale. Sembra paradossale perché siamo condizionati nel pensare che un muscolo teso debba essere ‘rilasciato’, ma quando capiamo meglio questo dialogo fra le articolazioni e il cervello, diventa chiaro come l’attivazione della muscolatura in realtà ci aiuta a rilassare!

Bisogna ‘guadagnare’ la mobilità.

Quando parliamo dell’ipo-mobilità, ovvero la sensazione di rigidità articolare, siamo sempre nel territorio del sistema nervoso e la sua neurocezione…non solo la neurocezione della sicurezza nel momento presente, ma spesso anche quella associata agli eventi del nostro passato. Se siamo sopravvissuti ad una storia di trauma, o conviviamo da tempo con qualche condizione cronica (che in sé può essere un’esperienza traumatica ), la nostra neurocezione può rilevare un pericolo presente anche se deriva dai ‘ricordi’ del passato. Questi ricordi del passato possono presentarsi come memoria muscolare o motoria…non necessariamente come un ricordo dettagliato con una narrazione specifica. Nel caso del trauma complesso o PTSD, i ricordi vengono ‘archiviati’ in varie parti del cervello e sistema nervoso, non solo nelle strutture dedicate alla memoria esplicita cioè quelle dove possiamo raccontare una narrazione degli eventi passati.

Vuol dire che certi movimenti o gesti possono ‘triggerare’ i ricordi traumatici, portando una serie di sensazioni ed emozioni travolgenti ma senza una narrativa logica e spesso senza la capacità di verbalizzare quello che sentiamo (il trauma può ‘spegnere’ una struttura importante nel cervello che ci aiuta a dare linguaggio alle nostre emozioni).  Se siamo superstiti di una storia di trauma, soprattutto nei casi di trauma relazionale, è possibile che la nostra reazione naturale allo stress di lotta o fuga si stata impedita nel momento traumatico e siamo entrati in uno stato di congelamento. Una rigidità articolare generale o la sensazione di peso negli arti possono essere collegati a questa risposta di congelamento, infatti esiste una correlazione tra il trauma dello sviluppo e l’artrite reumatoide

Troppa flessibilità o troppo poca, il lavoro è lo stesso: ritrovare uno spazio di sicurezza per rabbonire il dialogo tra mente e corpo…

Nel programma ‘Embodied Resilience‘ indaghiamo sulle nostre strategie di sopravvivenza e quanto queste incidono sulle nostre risposte di oggi.  Se ci troviamo spesso e facilmente fuori dalla nostra finestra di tolleranza (vai all’articolo) davanti agli stressori della vita è facile trovarci nell’  ‘overwhelm’  dove la risposta fisiologica si manifesta come attivazione e disattivazione concomitante, ovvero ‘il congelamento’, spesso descritto come avere un piede sull’acceleratore e l’altro sul freno.



La nostra intenzione, quando ‘parliamo’ con il sistema nervoso attraverso il linguaggio del movimento, è fare azioni e gesti che possono trasmettere sicurezza. L’essere radicati nel momento presente, collegati in modo ‘real time’ alla realtà di adesso (invece di essere intrappolati in una risposta ancorata nel passato) ci aiuterà a fare ‘integrazione’ a livello neuronale con la sicurezza del momento presente, rassicurando il sistema nervoso che siamo qui ed ora, artefici creativi e resilienti dei nostri movimenti. 



Lavorare sul tappetino per ritrovare più forza e resilienza nelle nostre strutture articolari ci aiuta a mandare messaggi di sicurezza e controllo al sistema nervoso.

Quando il sistema nervoso percepisce più stabilità e sicurezza dentro e attorno, ci ‘regala’ la mobilità che ci serve nel momento…nè troppa, nè troppo poca. Vuol dire che ritroviamo la giusta misura per muoverci come vogliamo per esprimere il nostro senso di ‘agency’ nel mondo, padroni di noi stessi, capaci di mobilizzare per sostenere il nostro peso specifico…e magari qualcosa in più, per poter sostenere anche gli altri esseri che incontriamo lungo il cammino della vita.

Essere più forti vuol dire avere più capacità di gestire non solo i carichi della vita ma anche la complessità della realtà in cui ci troviamo. La mia profonda convinzione è che più persone forti e fiduciose ci siano nel mondo, più riusciremo ad affrontare insieme le sfide che la vita ci presenta, con compassione, coerenza e resilienza.

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